Chi ha meno di 30-35 anni forse non se n’è accorto ma per tutti gli altri artisti, cantautori, interpreti, la differenza tra il mondo musicale di oggi e quello di anni fa è evidente.
Oggi ho 45 anni, ho iniziato a far musica a livello professionale nel 1993.
In quegli anni funzionava così: Esistevano delle case discografiche che a fronte di investimenti fatti su nuovi artisti ne ricevevano un ricavo dalla vendita dei dischi. Molto semplice.
Oggi non è più così, i dischi sono ormai un ricordo e quello che ne deriva a livello economico dagli ascolti su Spotify non sono minimamente sufficienti per garantire un investimento.
E allora la musica è finita?
NO
Al contrario è molto viva
La musica è quasi completamente in mano agli artisti e per fortuna o no, questo è un trend che durerà a mio avviso ancora per molto.
Un artista, a differenza di un’ etichetta trae vantaggio da molti più fronti, prima di tutti da quello dei live (settore che non compete a un’etichetta discografica).
Certo, gli investimenti su ogni singola canzone video o album si sono ridotti drasticamente.
Anni fa servivano molti più soldi di oggi per dare inizio ad una carriera musicale.
Oggi in completa autonomia un cantautore può realizzare la propria musica, fare arrangiamenti al computer, mixarli e cantarli.
E allora dov’è il mio lavoro? Servo ancora a qualcosa?
Forse si e me ne accorgo quotidianamente nelle decine di artisti con i quali lavoro ogni anno in questo momento così particolare.
Oggi la figura del produttore è molto più simile a quella di un coach.
Come ho scritto all’inizio, anni fa esisteva una casa discografica, il processo che portava alla realizzazione e all’uscita di un album veniva visionato e revisionato da un team di professionisti, direttori artistici, uffici promozione, produttori, arrangiatori, autori.
Oggi quella squadra non esiste più e l’artista è sempre più isolato da una visione oggettiva del suo lavoro.
Ogni artista pensa di essere forte, la sua convinzione è quella che lo spinge a continuare (nonostante le difficoltà) però spesso offusca una visione oggettiva di quello che realmente ha in mano. Ecco, un produttore, a differenza di uno studio di registrazione, serve a questo.
Se lavora con criterio e professionalità (e non lo do per scontato) dovrebbe servire a questo oltre a creare un sound e migliorare l’estetica del lavoro.
È l’ultimo baluardo di un sistema che ha funzionato molto bene per decenni.
Personalmente seguo i lavori dall’inizio alla fine, conosco molto bene gli artisti con i quali collaboro e nella gran parte dei casi ne nasce anche un rapporto sincero, umano.
Spesso le produzioni durano mesi, e tutto quel tempo insieme dà modo a me e a loro di migliorarsi.
Non sono uno di quelli che stravolge l’artista per farlo somigliare a me, sono cresciuto con la scuola dei grandi cantautori e ho avuto la fortuna di lavorare con i migliori produttori e artisti italiani e non ho problemi di ego inespresso.
La vera sfida per me è quella di dare luce a chi ho di fronte, questo è il mio lavoro e questo è il lavoro del produttore musicale.